Alcuni lo considerano un narratore, mentre altri, al contrario, affermano che egli è l’unico che sa come fermare il momento – cristallizzato nel tempo – di un paesaggio o di una persona.
Edward Hopper (1882-1967) – il più popolare e noto artista americano del XX secolo – era un uomo timido e tranquillo, amante degli orizzonti sul mare. La sua filosofia si può spiegare così: “Se potessi descrivere la mia arte a parole, non ci sarebbe alcuna ragione per dipingere.”
La mostra Edward Hopper, dal 1 ottobre 2016 al Vittoriano – Ala Brasini, allestita dall’Istituto per la Storia del Risorgimento, in collaborazione con il Dipartimento per la Cultura, è stata prodotta e organizzata da Arthemisia Group in collaborazione con il Whitney Museum of American Art di New York, e rappresenterà l’intero periodo della produzione del famoso artista americano.
Dagli acquerelli parigini ai paesaggi delle città degli anni ’50 e ’60, la mostra, a cura di Barbara Haskell, curatrice dei dipinti al Whitney Museum of American Art – e in collaborazione con Luca Beatrice – espone più di 60 opere, tra cui i celebri capolavori South Carolina Morning (1955), Second Story Sunlight (1960), New York Interior (1921), le Bistrot o il Wine shop (1909), Interni d’estate (1909).